Sensazione e colore
...davanti ai suoi quadri si prova una così dolce sensazione di piacere per gli occhi e per l’anima come se quei paesaggi e quei colori ora forti, ora tenui portassero dentro di noi quei sentimenti con i quali l’artista ha creato le sue opere...
Giovanni Martelli
Giovanni Martelli
2014 - 64^ Rassegna Internazionale d'Arte/Premio G.B. Salvi
Atelier del Contemporaneo a cura di Silvia Cuppini
Organizzata dal Comune di Sassoferrato, la manifestazione si avvale del contributo della Regione Marche e della Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana e del patrocinio dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Sassoferrato (AN) - 19 settembre - 2 novembre 2014
Palazzo degli Scalzi (Piazza Gramsci, n.1)
Palazzo della Pretura (Via Garibaldi, n.18)
INAUGURAZIONE:
venerdì 19 settembre - ore 17,30 - Piazza Gramsci
PRESENTAZIONE DEL CATALOGO
E CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEGLI ARTISTI:
Sabato 11 ottobre, ore 16,30 - Auditorium di Palazzo degli Scalzi (Piazza Gramsci, n.1) - Opere selezionate nella sezione "Paesaggi Urbani".
Ruota, 2013, olio su tela 100x150
Caos sublime, 2013, olio su tela, 125x140
Organizzata dal Comune di Sassoferrato, la manifestazione si avvale del contributo della Regione Marche e della Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana e del patrocinio dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Sassoferrato (AN) - 19 settembre - 2 novembre 2014
Palazzo degli Scalzi (Piazza Gramsci, n.1)
Palazzo della Pretura (Via Garibaldi, n.18)
INAUGURAZIONE:
venerdì 19 settembre - ore 17,30 - Piazza Gramsci
PRESENTAZIONE DEL CATALOGO
E CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEGLI ARTISTI:
Sabato 11 ottobre, ore 16,30 - Auditorium di Palazzo degli Scalzi (Piazza Gramsci, n.1) - Opere selezionate nella sezione "Paesaggi Urbani".
Ruota, 2013, olio su tela 100x150
Caos sublime, 2013, olio su tela, 125x140
2013 - Gabicce - Sede espositiva comunale
Inaugurazione del Percorso e della Mostra “Gabicce un promontorio sulla storia”
Inaugurazione ufficiale, domenica 15 dicembre, alle ore 12 in piazza Valbruna a Gabicce Monte, del Percorso “Gabicce, un promontorio sulla storia” progetto nato dall’artista Mirco Ambrogini, noto pittore locale, dal professor e artista Marco Santoro e con la collaborazione di Federico Morini e del Comune di Gabicce Mare.
Un progetto importante che comprende tre percorsi tra storia, spettacolo e leggenda; una guida per i visitatori di Gabicce Monte allo scoperta degli scorci più belli attraverso delle tappe che permettono al visitatore di seguire passo a passo la storia del borgo nei secoli. Oltre alle opere, due pannelli orienteranno i turisti nella visione generale del percorso.
Inaugurazione ufficiale, domenica 15 dicembre, alle ore 12 in piazza Valbruna a Gabicce Monte, del Percorso “Gabicce, un promontorio sulla storia” progetto nato dall’artista Mirco Ambrogini, noto pittore locale, dal professor e artista Marco Santoro e con la collaborazione di Federico Morini e del Comune di Gabicce Mare.
Un progetto importante che comprende tre percorsi tra storia, spettacolo e leggenda; una guida per i visitatori di Gabicce Monte allo scoperta degli scorci più belli attraverso delle tappe che permettono al visitatore di seguire passo a passo la storia del borgo nei secoli. Oltre alle opere, due pannelli orienteranno i turisti nella visione generale del percorso.
2013 - Genova - Satura art Gallery
Con il Patrocinio di Regione Liguria, Provincia e Comune di Genova, la rivista “Satura arte letteratura spettacolo” bandisce la quarta edizione del premio SaturaPrize 2013, concorso nato dalla volontà di promuovere nuove tendenze e nuove generazioni di artisti italiani ed europei. Attiva con iniziative ed eventi culturali di ampio respiro nel panorama italiano e internazionale, Satura da sempre affianca alla presenza di autori contemporanei già affermati la promozione di opere di giovani artisti di talento.
Marco Santoro secondo premio di pittura con l'opera Anime olio su tela - 100x150 - 2011.
Inaugurazione mostra 7 dicembre 2013 ore 17.00 - Associazione culturale Satura art Gallery, piazza Stella 5 Genova.
Marco Santoro secondo premio di pittura con l'opera Anime olio su tela - 100x150 - 2011.
Inaugurazione mostra 7 dicembre 2013 ore 17.00 - Associazione culturale Satura art Gallery, piazza Stella 5 Genova.
2013 - Milano - Borderline - Locale Tomaselli
2012 - Pesaro - Borderline - Galleria della Pergola
(Borderline)
a cura di Sebastiano Guerrera
“Le Belle Arti ci propongono solo astrazioni, anche quando (...) ci offrono un’opera che apparentemente riproduce un’immagine concreta"
Michel-Eugène Chevreul
a cura di Sebastiano Guerrera
“Le Belle Arti ci propongono solo astrazioni, anche quando (...) ci offrono un’opera che apparentemente riproduce un’immagine concreta"
Michel-Eugène Chevreul
Borderline
Dalla seconda metà dell’ottocento in poi, l’invenzione della fotografia sottrasse alla pittura il primato che l’aveva contraddistinta: la mimesis. Così, mentre la fotografia tentava il salto che l’avrebbe portata a ‘normalizzarsi’, abbandonando il limbo della scienza tecnologica, la pittura ne carpiva segreti e intuizioni per disfarsi degli ultimi barlumi di naturalismo.
La cultura modernista, fondandosi sulla visione internazionale dei linguaggi, si proponeva di annullare il divario tra pittura, scultura, architettura -considerate le arti ‘maggiori’- e le nuove tecnologie scientifiche e dell’industria. All’interno del movimento modernista, fu il Neo-impressionismo, mediante i suoi fondamenti tecnico-scientifici, ad aver veramente operato per riscattare il procedimento pittorico. Georges Seurat fu il primo a sperimentare una nuova teoria della pittura e una conseguente tecnica. Col pointillisme, egli propose un solido equilibrio cromatico-luminoso ottenuto mediante una percezione ‘architettonica’ della realtà che nessun altro metodo avrebbe potuto conseguire: tuttavia, secondo lo stesso Seurat, a lui interessava la struttura globale della visione, mentre la fisica dei colori o la fisiologia dell’occhio erano semplicemente strumenti a sua disposizione.
Il mondo pittorico di Seurat è l’immagine della visione tecnologica dell’uomo moderno, in cui è la natura a identificarsi con la società e non viceversa. Il pittore parigino, convinto che l’arte (come la scienza) debba mirare alla conoscenza oggettiva, pensa che tra i compiti del pittore ci sia quello di verificare le proposizioni scientifiche mediante una pittura sperimentale, poiché gli artisti devono offrire immagini che creino coscienza, nuovi modi di vedere, nuovi atteggiamenti di vita. Devono agire in piena scienza e coscienza, collocarsi nel cuore di tutta la problematica del proprio tempo.
In pratica, Seurat inventò l’arte moderna e anticipò quella contemporanea.
Dall’inizio degli anni novanta del novecento, si è affermata una tendenza che individua nelle tecnologie legate ai nuovi media la grande matrice dei numerosi fenomeni artistici di fine millennio e dei primi anni duemila. Televisione, videoclip, cinema, computer (digitale), internet sono ormai fondamentali nell’esperienza estetica, imponendo il concetto di realtà virtuale che si sovrappone, fino a sostituirla, alla ‘vera realtà’. Il virtuale diventa il nuovo modello iconografico, che non può essere ignorato dagli artisti, poiché il loro compito è quello di ripensare la complessità del sistema artistico e non solo. Essi devono concentrarsi sulla necessità della convivenza degli stili e dei linguaggi ereditati dal Moderno prima e dal Postmoderno dopo.
In un simile contesto, come può proporsi la pittura? Come può interagire con le nuove tecnologie? Secondo Gabriele Perretta, teorico del Medialismo, offrendosi nel suo oggetto (il quadro), mentre la medialità si proietterà nel soggetto (facendo scaturire la pittura mediale). Il Medialismo, ammonisce Perretta, “non si ferma né all’iconografia né all’ortodossia dei new media”, oltretutto “nulla può sfuggire alla tecnica: quello che sarà importante controllare è la qualità del messaggio”.
In questa nuova fase, affine più al Modernismo che al Postmodernismo, nel panorama pittorico nazionale ed internazionale imperversa un’ondata di pittura mimetica, proposta da pittori che imitano, elaborano o riproducono le immagini prodotte dalla tecnologia e dai media. All’interno di questo multiforme contenitore si inserisce in modo anomalo e controcorrente la pittura di Marco Santoro che, fondandosi su un concetto allargato di mimesis, elabora lo spazio pittorico mediante un procedimento analogo a quello di Seurat, violandone però il principio ieratico che vuole la pittura come architettura in sé. Poiché per Santoro la pittura contiene l’architettura e, con essa, la vita, le sue opere si pongono in bilico tra storia e avanguardia. Ponendo sul medesimo piano il paesaggio naturale e quello urbano, in quanto entrambi costruzioni dell’uomo, Santoro li ricostruisce pittoricamente utilizzando un processo mnemonico soggettivo. Tenta, insomma, di estromettere dalla sua proposta il principio oggettivo su cui si fonda la quasi totalità della pittura contemporanea.
Santoro sviluppa il suo pensiero tenendo costanti tre riferimenti: l’occhio, la memoria e la tecnica. Una posizione borderline, con tutti i rischi che essa comporta; in particolare la possibilità di essere intesa come inattuale, anacronistica: egli è consapevole che esperienza e conoscenza esistono in qualità di valori oggettivi, acquisiti dalla collettività grazie al progresso scientifico, alle nuove tecnologie, ai new media; tuttavia, non rinuncia al linguaggio pittorico come strumento conoscitivo, anzi -direi coraggiosamente- indaga per capire se la pittura sia ancora in grado di creare, anziché riprodurre; si propone di riscattare la pittura dalla condizione di subalternità nei confronti delle nuove tecnologie. Si chiede, finalmente, se la pittura possa superare l’ideologia di un mondo oggettivo (che esisterebbe anche senza la coscienza umana conoscitiva) oggi trionfante sul mondo soggettivo considerato ormai illusorio.
La cultura modernista, fondandosi sulla visione internazionale dei linguaggi, si proponeva di annullare il divario tra pittura, scultura, architettura -considerate le arti ‘maggiori’- e le nuove tecnologie scientifiche e dell’industria. All’interno del movimento modernista, fu il Neo-impressionismo, mediante i suoi fondamenti tecnico-scientifici, ad aver veramente operato per riscattare il procedimento pittorico. Georges Seurat fu il primo a sperimentare una nuova teoria della pittura e una conseguente tecnica. Col pointillisme, egli propose un solido equilibrio cromatico-luminoso ottenuto mediante una percezione ‘architettonica’ della realtà che nessun altro metodo avrebbe potuto conseguire: tuttavia, secondo lo stesso Seurat, a lui interessava la struttura globale della visione, mentre la fisica dei colori o la fisiologia dell’occhio erano semplicemente strumenti a sua disposizione.
Il mondo pittorico di Seurat è l’immagine della visione tecnologica dell’uomo moderno, in cui è la natura a identificarsi con la società e non viceversa. Il pittore parigino, convinto che l’arte (come la scienza) debba mirare alla conoscenza oggettiva, pensa che tra i compiti del pittore ci sia quello di verificare le proposizioni scientifiche mediante una pittura sperimentale, poiché gli artisti devono offrire immagini che creino coscienza, nuovi modi di vedere, nuovi atteggiamenti di vita. Devono agire in piena scienza e coscienza, collocarsi nel cuore di tutta la problematica del proprio tempo.
In pratica, Seurat inventò l’arte moderna e anticipò quella contemporanea.
Dall’inizio degli anni novanta del novecento, si è affermata una tendenza che individua nelle tecnologie legate ai nuovi media la grande matrice dei numerosi fenomeni artistici di fine millennio e dei primi anni duemila. Televisione, videoclip, cinema, computer (digitale), internet sono ormai fondamentali nell’esperienza estetica, imponendo il concetto di realtà virtuale che si sovrappone, fino a sostituirla, alla ‘vera realtà’. Il virtuale diventa il nuovo modello iconografico, che non può essere ignorato dagli artisti, poiché il loro compito è quello di ripensare la complessità del sistema artistico e non solo. Essi devono concentrarsi sulla necessità della convivenza degli stili e dei linguaggi ereditati dal Moderno prima e dal Postmoderno dopo.
In un simile contesto, come può proporsi la pittura? Come può interagire con le nuove tecnologie? Secondo Gabriele Perretta, teorico del Medialismo, offrendosi nel suo oggetto (il quadro), mentre la medialità si proietterà nel soggetto (facendo scaturire la pittura mediale). Il Medialismo, ammonisce Perretta, “non si ferma né all’iconografia né all’ortodossia dei new media”, oltretutto “nulla può sfuggire alla tecnica: quello che sarà importante controllare è la qualità del messaggio”.
In questa nuova fase, affine più al Modernismo che al Postmodernismo, nel panorama pittorico nazionale ed internazionale imperversa un’ondata di pittura mimetica, proposta da pittori che imitano, elaborano o riproducono le immagini prodotte dalla tecnologia e dai media. All’interno di questo multiforme contenitore si inserisce in modo anomalo e controcorrente la pittura di Marco Santoro che, fondandosi su un concetto allargato di mimesis, elabora lo spazio pittorico mediante un procedimento analogo a quello di Seurat, violandone però il principio ieratico che vuole la pittura come architettura in sé. Poiché per Santoro la pittura contiene l’architettura e, con essa, la vita, le sue opere si pongono in bilico tra storia e avanguardia. Ponendo sul medesimo piano il paesaggio naturale e quello urbano, in quanto entrambi costruzioni dell’uomo, Santoro li ricostruisce pittoricamente utilizzando un processo mnemonico soggettivo. Tenta, insomma, di estromettere dalla sua proposta il principio oggettivo su cui si fonda la quasi totalità della pittura contemporanea.
Santoro sviluppa il suo pensiero tenendo costanti tre riferimenti: l’occhio, la memoria e la tecnica. Una posizione borderline, con tutti i rischi che essa comporta; in particolare la possibilità di essere intesa come inattuale, anacronistica: egli è consapevole che esperienza e conoscenza esistono in qualità di valori oggettivi, acquisiti dalla collettività grazie al progresso scientifico, alle nuove tecnologie, ai new media; tuttavia, non rinuncia al linguaggio pittorico come strumento conoscitivo, anzi -direi coraggiosamente- indaga per capire se la pittura sia ancora in grado di creare, anziché riprodurre; si propone di riscattare la pittura dalla condizione di subalternità nei confronti delle nuove tecnologie. Si chiede, finalmente, se la pittura possa superare l’ideologia di un mondo oggettivo (che esisterebbe anche senza la coscienza umana conoscitiva) oggi trionfante sul mondo soggettivo considerato ormai illusorio.
2011 - Montefiore Conca (RN) - Linea di Confine - Rocca Malatestiana
Linea di confine
Nei primi secoli dell'era cristiana parlare di confini significava intendere non solo quella linea immaginaria che separa due stati, ma anche e soprattutto quel complesso più o meno fortificato che delimitava l'estensione dell'Impero Romano, e che era al tempo stesso la delimitazione della Romanitas, la linea di demarcazione fra la civiltà e la barbarie, intendendo con quest'ultimo termine il modus vivendi al di fuori della civiltà romana, che si estendeva dalla Gran Bretagna all'Armenia, dall'Africa alla Germania. Il barbarus non era solo un rozzo guerriero che viveva secondo natura, ma chi non era Romano, chi era nato al di là di quei confini che garantivano la tutela e la fioritura di una cultura, di un diritto, di una legalità e amministrazione, di una religione: di un ordine che veniva sentito universale.
Il limes divenne da semplice linea immaginaria fra due o più stati o popoli, un complesso molto concreto di fortificazioni, mura e accampamenti, precursori dei vari muri costruiti nel corso della storia più o meno recente. Muri che non sono altro che una concretizzazione della separazione dall'altro.
Mura che ritroviamo nelle città antiche, quando gli abitati si munivano di difesa e separazione non solo dal nemico, dall'altro, ma anche dalla Natura, quando questa poteva essere ostile nei confronti dell'uomo: basti pensare semplicemente ad animali selvaggi che potevano spingersi per fame fino agli abitati umani. Le mura proteggevano dalla foresta, ma anche dal forestiero, colui che veniva dal di fuori, l'altro.
Ma le città moderne, le metropoli o le megalopoli, soggetto delle rappresentazioni di Marco Santoro, non hanno più mura, quasi varcano ogni linea di confine, anche quella fra città (civiltà) e natura, avendo quasi soggiogato, inglobato e addomesticato quest'ultima a semplice idea di verde urbano o di parchi naturali ad uso e consumo del consumatore sovrano; tutto questo quando la natura non diventa finanche oggetto dei nostri esperimenti pseudo-scientifici. Il tema della lotta fra civiltà (espressa dalla città) e natura è un filo conduttore nella produzione di Santoro, e in questo gruppo di opere sembra solo aver cambiato prospettiva: il confine fra natura e città non è più visibile. Le metropoli o megalopoli da lui riprese con il loro nuovo paesaggio si estendono fino all'ultima frontiera, quella dell'orizzonte: linea di confine fra terra cielo e mare, la quale viene a volte sostituita dall'ingombro dello skyline.
In alcune di queste opere l'artista sembra ricordare le vedute da cartolina, offrendo da una parte un aspetto noto di tali agglomerati urbani, ma allo stesso tempo offrendo la percezione di qualcosa di freddo, svuotato, distante. Tale sensazione ricorre nella produzione dell’artista, nel quale anche i semplici gesti quotidiani appaiono svuotati del loro senso, evidenziando la meccanicità della vita moderna, con la sua solitudine.
Questa è un'ennesima linea di confine che emerge da queste opere: la separazione dell'essere umano col proprio simile. Le luci delle case che riempiono le città parlano anche di questa frammentazione della società nella moderna vita urbana: la scomparsa stessa del concetto di comunità, termine impropriamente ripreso oggi nel web, sostituita dall'insieme dei singoli. Le luci degli appartamenti di questi palazzi, indicano la realtà dove ognuno vive nella propria quotidianità, rappresentata da una luce in quel mare di luci, quel “cuore della terra” per usare un'espressione di Quasimodo, in cui “ognuno sta solo”, fino alla scomparsa stessa del concetto di individuo.
Gianluca Santoro
Il limes divenne da semplice linea immaginaria fra due o più stati o popoli, un complesso molto concreto di fortificazioni, mura e accampamenti, precursori dei vari muri costruiti nel corso della storia più o meno recente. Muri che non sono altro che una concretizzazione della separazione dall'altro.
Mura che ritroviamo nelle città antiche, quando gli abitati si munivano di difesa e separazione non solo dal nemico, dall'altro, ma anche dalla Natura, quando questa poteva essere ostile nei confronti dell'uomo: basti pensare semplicemente ad animali selvaggi che potevano spingersi per fame fino agli abitati umani. Le mura proteggevano dalla foresta, ma anche dal forestiero, colui che veniva dal di fuori, l'altro.
Ma le città moderne, le metropoli o le megalopoli, soggetto delle rappresentazioni di Marco Santoro, non hanno più mura, quasi varcano ogni linea di confine, anche quella fra città (civiltà) e natura, avendo quasi soggiogato, inglobato e addomesticato quest'ultima a semplice idea di verde urbano o di parchi naturali ad uso e consumo del consumatore sovrano; tutto questo quando la natura non diventa finanche oggetto dei nostri esperimenti pseudo-scientifici. Il tema della lotta fra civiltà (espressa dalla città) e natura è un filo conduttore nella produzione di Santoro, e in questo gruppo di opere sembra solo aver cambiato prospettiva: il confine fra natura e città non è più visibile. Le metropoli o megalopoli da lui riprese con il loro nuovo paesaggio si estendono fino all'ultima frontiera, quella dell'orizzonte: linea di confine fra terra cielo e mare, la quale viene a volte sostituita dall'ingombro dello skyline.
In alcune di queste opere l'artista sembra ricordare le vedute da cartolina, offrendo da una parte un aspetto noto di tali agglomerati urbani, ma allo stesso tempo offrendo la percezione di qualcosa di freddo, svuotato, distante. Tale sensazione ricorre nella produzione dell’artista, nel quale anche i semplici gesti quotidiani appaiono svuotati del loro senso, evidenziando la meccanicità della vita moderna, con la sua solitudine.
Questa è un'ennesima linea di confine che emerge da queste opere: la separazione dell'essere umano col proprio simile. Le luci delle case che riempiono le città parlano anche di questa frammentazione della società nella moderna vita urbana: la scomparsa stessa del concetto di comunità, termine impropriamente ripreso oggi nel web, sostituita dall'insieme dei singoli. Le luci degli appartamenti di questi palazzi, indicano la realtà dove ognuno vive nella propria quotidianità, rappresentata da una luce in quel mare di luci, quel “cuore della terra” per usare un'espressione di Quasimodo, in cui “ognuno sta solo”, fino alla scomparsa stessa del concetto di individuo.
Gianluca Santoro